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Dalla
relazione presentata il 14/12/2002 - Chiesa S. Rocco , Cuggiono
Capitolo1
Per
introdurre il tema ho pensato di dare lettura di un frammento di una memoria che
scrisse un intellettuale gallaratese - nativo di Samarate per essere precisi -
tal Ercole Ferrario, che nel 1868 presentò una memoria dal titolo “Intorno
all’emigrazione che avviene nel circondario di Gallarate”. Ercole
Ferrario era a quel tempo un’intellettuale conosciuto, almeno nei nostri
paesi, e fu autore della monografia sulle classi agricole del circondario di
Abbiategrasso, che entrò poi a far parte della più ponderosa inchiesta agraria
Jacini.
Scriveva
Ferrario nel 1868:
“Chi conosce i
contadini della pianura lombarda
sa con quanta intensità di affetto amino il sito ove nacquero e vi rimangano, a
così dire, tenacemente
abbarbicati. Si contentano del poco che trovano nel loro paese, non sono vaghi
di avventure, ne temono i rischi e
diffidano di ciò che non conoscono ed è fuori dalle loro abitudini. Ebbene,
codesta popolazione casalinga,
modesta, paziente, incuriosa e quasi dico timida, adesso a frotte lascia i
propri casolari ed ogni
cosa più caramente diletta e, datasi in balìa di gente ignota, stivata sulle
navi, affronta volenterosa i disagi ed
i pericoli di una lunga navigazione per cercare una nuova patria in paesi
lontanissimi dei quali ignora gli usi, la lingua, il clima e
che sa flagellati spesso da spaventose e micidialissime malattie.”
Così
scriveva Ercole Ferrario, che continuava poi la sua memoria manifestando
stupore, meraviglia, incredulità per questo fenomeno che, già negli anni
Sessanta, coinvolgeva tanta gente che, a frotte appunto, lasciava il proprio
paese per dirigersi, varcando il mare oceano, nel continente americano, e più
precisamente in Argentina. Il linguaggio di Ferrario era un linguaggio dolente,
segnato da profonda umanità, da grande comprensione, ne capiva le cause e lo
giustificava. Diverso era invece il linguaggio dei grandi proprietari lombardi e
milanesi, che manifestavano anch’essi timore e meraviglia dinanzi a questo
esodo, ma lo facevano in termini niente affatto comprensivi, quanto piuttosto
quasi sempre fortemente censori, minacciosi e, comunque, molto preoccupati.
Anche un uomo politico del tempo, Ercole Lualdi, deputato al parlamento di Busto
Arsizio, che già si era fatto conoscere alcuni anni prima per aver sottoscritto
una memoria - sottoscritta da ben 114 industriali lombardi -, inviata
all’allora governo Ricasoli, in cui invocava misure protezionistiche per la
nascente industria tessile della nostra regione. Ercole Lualdi presentava in
parlamento, in qualità di deputato, un’interrogazione e, anche lui
minacciosamente, chiedeva al governo di prendere severe misure affinché questo
fenomeno, che non si era mai visto, fosse contenuto, limitato, se non
addirittura soppresso. Insomma c’era grande preoccupazione e
l’interrogazione di Lualdi, che è anch’essa del 1868, può essere
considerata l’inizio di tutto un lungo dibattito sull’emigrazione italiana
che durerà parecchi decenni e che avrà in seguito dei risvolti anche diversi.
Per intanto c’era questa meraviglia, questo stupore, l’invocazione affinché
si ponesse freno a questo fenomeno; e se ne facevano diligenti interpreti, in
molti casi, anche le autorità di governo.
Se
andiamo a visitare gli archivi storici dei nostri comuni potremmo trovare nella
categoria “Esteri” moltissimi documenti del sottoprefetto di Abbiategrasso,
per esempio, che invitava i sindaci ad andar piano nel rilasciare i nullaosta
per i passaporti dell’estero. E così fece, sempre nel 1868, il prefetto di
Milano con una circolare inviata ai sindaci della provincia.
Il
prefetto di Milano ai sindaci della provincia
“Milano 20 ottobre 1868.
Vengo a conoscenza del sottoscritto che non pochi fra i sindaci della
provincia sogliono con troppa facilità rilasciare i nullaosta per passaporti
all’estero, e massime per le Americhe, ove purtroppo, oggi più che mai,
questa popolazione rurale tende ad emigrare ed emigra gettandosi così
sconsigliatamente in una serie di sventure e in un probabile pericolo di periodi
di stenti, poiché dove, tra un sogno ed un altro e per essere stati ingannati
da qualche furbo che di lor persona fa una speculazione commerciale, come si
farebbe d’armenti, credono di trovar l’abbondanza e l’oro; trovano invece
l’abbandono e la miseria e tutte le relative conseguenze, in seguito di che si
rammentano allora, ma invano, dei patrii campi e assediano i regi consolati
per far ritorno a spese del pubblico erario nazionale.
Nell’atto lo scrivente invita e prega i signori sindaci a volere, in
unione alle persone più probe e stimate di ogni comune, adoperare tutti i mezzi
di dissuasione e a ritrarre quegli
sconsigliati dal pericolo in cui si
gettano così alla cieca; li invita
anche ad essere restii nel rilasciare nullaosta e a farlo solo quando, per prove
evidenti e per cognizioni che essi abbiano delle possibilità d’ogni singolo
postulante, essi siano convinti innanzitutto che non sia vincolato da obblighi
di leva e che esso postulante abbia poi i mezzi sufficienti per fare un viaggio
sino a destinazione, così come prescritto dall’articolo 10 della legge 13
novembre 1857, promulgata in Lombardia con decreto del governatore del 28 giugno
1859, avvertendoli che, ancorché rilasciassero il nullaosta senza i suddetti
estremi, i postulanti troverebbero sempre un rifiuto presso gli uffici della
sottoprefettura e questura, quando non fornissero anche quelli le volute
prove.”
Firmato
Il Prefetto della Provincia di Milano
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