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Capitolo
2
Il
fenomeno migratorio non era del tutto nuovo nei nostri paesi, come in altre
regioni d’Italia. Non era nuovo ed era particolarmente manifesto
nell’emigrazione stagionale, temporanea, cui erano dedite alcune popolazioni
di diverse regioni italiane: pensiamo, per esempio, agli scalpellini del
varesotto, della Val Ceresio; agli spazzacamini e agli stagnini della Val
Vigezzo; al baliatico, perché c’era anche l’usanza delle balie, delle
nutrici - particolarmente famose le nutrici feltrine – che, in alcuni periodi
dell’anno, andavano in Francia, in Austria e in altri paesi per fare lavori
appunto di carattere stagionale; pensiamo ancora ai muratori dei nostri paesi,
ai terrazzieri, ai braccianti, organizzati da uno dei protagonisti della storia
sociale di Cuggiono e dei nostri paesi, Ercole Belloli che, ancor prima
dell’unità d’Italia, organizzò il lavoro itinerante di moltissimi operai
di Cuggiono e di altri paesi, portandoli ad effettuare lavori stradali, ma
soprattutto lavori di costruzioni ferroviarie, in Francia, in Spagna, nei paesi
balcanici, e via dicendo. Esisteva quindi una grande, robusta, solida tradizione
di lavoro migratorio e c’era, accanto a questo novero di professionisti del
lavoro migrante, un’altra forma di emigrazione, sempre stagionale e
temporanea, che dava scandalo, un’emigrazione vergognosa - come era definita -
composta dai cosiddetti suonatori d’organetto che, con le scimmiette sulle
spalle, andavano in diversi paesi d’Europa e, in particolar modo, in
Inghilterra; oppure dagli arpisti lucani di Viggiano, oppure ancora dai
cosiddetti figurinai della lucchesia, che vendevano le statuine di gesso, oppure
dal mercato infame, sì perché c’era anche questo, della tratta di bambini.
Personaggi senza scrupoli erano soliti andare nelle famiglie povere, affittare i
bambini e trascinarli all’estero, in particolar modo nelle vetrerie di Lione
in Francia, dove questi poveri ragazzi, nello spazio di pochi anni, rovinavano i
loro polmoni.
A
proposito di questo tradizionale lavoro stagionale o temporaneo, possiamo
leggere un frammento del 1879 di Rinaldo Anelli - una figura che forse vi è
familiare, che forse conoscete -, parroco di Bernate Ticino che, con Ercole
Ferrario, fu anch’egli autore di una monografia dal titolo “Le
classi agricole del circondario di Abbiategrasso” che poi andò a comporre
quella ponderosa opera nota come l’inchiesta agraria Jacini.
“La classe agricola nel circondario di Abbiategrasso”, monografia
di don Rinaldo Anelli, parroco di Bernate Ticino.
“Questa popolazione vuole pur essa pagare all’emigrazione, sia
stabile che temporanea, il suo tributo. Il comune di Cuggiono è quello che in
tutto il circondario dà il maggior numero di emigranti temporanei; non meno di
900 uomini e giovinotti partono ogni anno, nel mese di febbraio, per la Francia
o per la Germania o per dove insomma sanno esservi lavoro e là si fermano fino
alla fine di ottobre, nella quale epoca ritornano portando a casa discrete somme
di denaro che, i più buoni e diligenti, danno al capo di casa e gli spensierati
tengono per sé e sprecano in pochi mesi. In questi anni di frequente fallanza
dei principali prodotti agricoli, per causa specialmente della siccità, questa
emigrazione temporanea la si estese anche negli altri paesi circonvicini, a
Bernate, a Boffalora ed Inveruno; tutti hanno in Francia un buon numero di
giovinotti con non piccolo danno dell’agricoltura locale la quale ha bisogno
di braccia forti e intelligenti. In generale là in quei paesi si danno a lavori
di strade e canali e quelli di Cuggiono si distinguono, non solo per la loro
sveltezza nel lavorare, ma sì anche per l’avvedutezza e precisione
con cui eseguono quei lavori.
L’emigrazione stabile per l’America, più che a Cuggiono, ebbe luogo
a Magnago, Lonate, Mesero, Villa Cortese ed altrove e cominciò specialmente nel
1868/1870, epoca in cui, oltre alla fallanza dei prodotti, i padroni aumentarono
ai coloni il fitto; le filande ed altri opifici non davano molto lavoro.
Le donne per procurarsi guadagno non dubitano, quando le nostre filande
non sono sufficienti per riceverle tutte, di portarsi anche in un lontano paese
e principalmente a Novi di Genova, ad Oleggio, sul Lago Maggiore e su quello di
Como, dove si fermano per circa 8 mesi, mandando poi a casa il guadagno che
fanno, ritenendone per sé una piccolissima parte per i loro minuti bisogni.”
Gli
esodi che però si profilano alla fine degli anni Sessanta, e che sono
fortemente censurati, hanno un carattere diverso rispetto alla tradizionale
emigrazione stagionale, perchè i flussi sono sì sempre diretti verso le
tradizionali rotte dei paesi europei, ma per la gran parte si dirigono nel
continente americano, in Argentina, e spesso non sono singoli uomini ma interi
gruppi familiari a partire. Per avere un’idea della dimensione dell’esodo
consideriamo qualche cifra: dal 1876, anno in cui lo Stato italiano cominciò a
censire per la prima volta i flussi migratori, al 1914, vigilia della prima
guerra mondiale, sono ben 14 milioni coloro che varcano i confini nazionali e si
dirigono un po’ in tutte le parti del mondo e in particolar modo nel
continente sudamericano, Brasile ed Argentina, e negli Stati Uniti. Nei soli
Stati Uniti entrano in quell’arco di tempo ben 5,7 milioni di emigranti
italiani. In una prima fase, che va dal 1876 al 1900, l’emigrazione italiana
è prevalentemente settentrionale e coinvolge, in particolar modo, i contadini
piemontesi, lombardi e soprattutto veneti; solo in un secondo tempo, a partire
grosso modo dai primi anni del Novecento, c’è un cambiamento e, mentre le
correnti migratorie del Nord Italia rimangono sempre attestate su cifre
considerevoli, il primato passa alle regioni meridionali. Dal 1900 in poi
saranno infatti soprattutto la Sicilia, la Calabria, la Campania ed altre
regioni meridionali a dare il maggior contributo agli esodi all’interno dei
quali, bisogna ricordarlo, c’è anche una componente quantitativamente non
precisabile - perché mancano i dati - composta da giovani che emigrano per non
fare il servizio militare. Visitando gli archivi storici comunali si trova una
nutritissima documentazione, sotto il titolo “Renitenza alla leva”, composta
da un elenco lunghissimo di nomi di
giovani che espatriano, sfuggendo appunto ai controlli, per non fare il servizio
militare, che allora era un’esperienza gravosa, vissuta in termini
estremamente negativi. La cifra di 14 milioni di espatriati in quell’arco di
tempo è approssimata per difetto, perché l’emigrazione reale fu un fenomeno
di gran lunga superiore e possiamo approssimativamente calcolare che circa un
terzo di questi 14 milioni non furono censiti perché emigravano
clandestinamente, senza documenti, senza passaporto. Partivano in genere da Le
Havre, nel nord della Francia, dove si imbarcavano per approdare nel continente
americano.
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