Gianfranco Galliani Cavenago – Ecoistituto della Valle del Ticino 

 

“QUANDO AD EMIGRARE ERAVAMO NOI”

Storie di Cuggionesi in America

Capitolo 2

 

Il fenomeno migratorio non era del tutto nuovo nei nostri paesi, come in altre regioni d’Italia. Non era nuovo ed era particolarmente manifesto nell’emigrazione stagionale, temporanea, cui erano dedite alcune popolazioni di diverse regioni italiane: pensiamo, per esempio, agli scalpellini del varesotto, della Val Ceresio; agli spazzacamini e agli stagnini della Val Vigezzo; al baliatico, perché c’era anche l’usanza delle balie, delle nutrici - particolarmente famose le nutrici feltrine – che, in alcuni periodi dell’anno, andavano in Francia, in Austria e in altri paesi per fare lavori appunto di carattere stagionale; pensiamo ancora ai muratori dei nostri paesi, ai terrazzieri, ai braccianti, organizzati da uno dei protagonisti della storia sociale di Cuggiono e dei nostri paesi, Ercole Belloli che, ancor prima dell’unità d’Italia, organizzò il lavoro itinerante di moltissimi operai di Cuggiono e di altri paesi, portandoli ad effettuare lavori stradali, ma soprattutto lavori di costruzioni ferroviarie, in Francia, in Spagna, nei paesi balcanici, e via dicendo. Esisteva quindi una grande, robusta, solida tradizione di lavoro migratorio e c’era, accanto a questo novero di professionisti del lavoro migrante, un’altra forma di emigrazione, sempre stagionale e temporanea, che dava scandalo, un’emigrazione vergognosa - come era definita - composta dai cosiddetti suonatori d’organetto che, con le scimmiette sulle spalle, andavano in diversi paesi d’Europa e, in particolar modo, in Inghilterra; oppure dagli arpisti lucani di Viggiano, oppure ancora dai cosiddetti figurinai della lucchesia, che vendevano le statuine di gesso, oppure dal mercato infame, sì perché c’era anche questo, della tratta di bambini. Personaggi senza scrupoli erano soliti andare nelle famiglie povere, affittare i bambini e trascinarli all’estero, in particolar modo nelle vetrerie di Lione in Francia, dove questi poveri ragazzi, nello spazio di pochi anni, rovinavano i loro polmoni.

A proposito di questo tradizionale lavoro stagionale o temporaneo, possiamo leggere un frammento del 1879 di Rinaldo Anelli - una figura che forse vi è familiare, che forse conoscete -, parroco di Bernate Ticino che, con Ercole Ferrario, fu anch’egli autore di una monografia dal titolo “Le classi agricole del circondario di Abbiategrasso” che poi andò a comporre quella ponderosa opera nota come l’inchiesta agraria Jacini.

 

 

La classe agricola nel circondario di Abbiategrasso”, monografia di don Rinaldo Anelli, parroco di Bernate Ticino.

“Questa popolazione vuole pur essa pagare all’emigrazione, sia stabile che temporanea, il suo tributo. Il comune di Cuggiono è quello che in tutto il circondario dà il maggior numero di emigranti temporanei; non meno di 900 uomini e giovinotti partono ogni anno, nel mese di febbraio, per la Francia o per la Germania o per dove insomma sanno esservi lavoro e là si fermano fino alla fine di ottobre, nella quale epoca ritornano portando a casa discrete somme di denaro che, i più buoni e diligenti, danno al capo di casa e gli spensierati tengono per sé e sprecano in pochi mesi. In questi anni di frequente fallanza dei principali prodotti agricoli, per causa specialmente della siccità, questa emigrazione temporanea la si estese anche negli altri paesi circonvicini, a Bernate, a Boffalora ed Inveruno; tutti hanno in Francia un buon numero di giovinotti con non piccolo danno dell’agricoltura locale la quale ha bisogno di braccia forti e intelligenti. In generale là in quei paesi si danno a lavori di strade e canali e quelli di Cuggiono si distinguono, non solo per la loro sveltezza nel lavorare, ma sì anche per l’avvedutezza e precisione con cui eseguono quei lavori.  

L’emigrazione stabile per l’America, più che a Cuggiono, ebbe luogo a Magnago, Lonate, Mesero, Villa Cortese ed altrove e cominciò specialmente nel 1868/1870, epoca in cui, oltre alla fallanza dei prodotti, i padroni aumentarono ai coloni il fitto; le filande ed altri opifici non davano molto lavoro.   Filanda di Cuggiono - operaie al lavoro - Foto archivio Gianfranco Scotti , Museo Cuggiono

Le donne per procurarsi guadagno non dubitano, quando le nostre filande non sono sufficienti per riceverle tutte, di portarsi anche in un lontano paese e principalmente a Novi di Genova, ad Oleggio, sul Lago Maggiore e su quello di Como, dove si fermano per circa 8 mesi, mandando poi a casa il guadagno che fanno, ritenendone per sé una piccolissima parte per i loro minuti bisogni.” 

 

Gli esodi che però si profilano alla fine degli anni Sessanta, e che sono fortemente censurati, hanno un carattere diverso rispetto alla tradizionale emigrazione stagionale, perchè i flussi sono sì sempre diretti verso le tradizionali rotte dei paesi europei, ma per la gran parte si dirigono nel continente americano, in Argentina, e spesso non sono singoli uomini ma interi gruppi familiari a partire. Per avere un’idea della dimensione dell’esodo consideriamo qualche cifra: dal 1876, anno in cui lo Stato italiano cominciò a censire per la prima volta i flussi migratori, al 1914, vigilia della prima guerra mondiale, sono ben 14 milioni coloro che varcano i confini nazionali e si dirigono un po’ in tutte le parti del mondo e in particolar modo nel continente sudamericano, Brasile ed Argentina, e negli Stati Uniti. Nei soli Stati Uniti entrano in quell’arco di tempo ben 5,7 milioni di emigranti italiani. In una prima fase, che va dal 1876 al 1900, l’emigrazione italiana è prevalentemente settentrionale e coinvolge, in particolar modo, i contadini piemontesi, lombardi e soprattutto veneti; solo in un secondo tempo, a partire grosso modo dai primi anni del Novecento, c’è un cambiamento e, mentre le correnti migratorie del Nord Italia rimangono sempre attestate su cifre considerevoli, il primato passa alle regioni meridionali. Dal 1900 in poi saranno infatti soprattutto la Sicilia, la Calabria, la Campania ed altre regioni meridionali a dare il maggior contributo agli esodi all’interno dei quali, bisogna ricordarlo, c’è anche una componente quantitativamente non precisabile - perché mancano i dati - composta da giovani che emigrano per non fare il servizio militare. Visitando gli archivi storici comunali si trova una nutritissima documentazione, sotto il titolo “Renitenza alla leva”, composta da  un elenco lunghissimo di nomi di giovani che espatriano, sfuggendo appunto ai controlli, per non fare il servizio militare, che allora era un’esperienza gravosa, vissuta in termini estremamente negativi. La cifra di 14 milioni di espatriati in quell’arco di tempo è approssimata per difetto, perché l’emigrazione reale fu un fenomeno di gran lunga superiore e possiamo approssimativamente calcolare che circa un terzo di questi 14 milioni non furono censiti perché emigravano clandestinamente, senza documenti, senza passaporto. Partivano in genere da Le Havre, nel nord della Francia, dove si imbarcavano per approdare nel continente americano. 

 

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