Gianfranco Galliani Cavenago – Ecoistituto della Valle del Ticino  

  

“QUANDO AD EMIGRARE ERAVAMO NOI”

Storie di Cuggionesi in America

Capitolo 8

 

Tralasciando questi aspetti, che possono forse impressionare negativamente, consideriamo ora le “Piccole Italie”, le “Little Italies”, che si diffusero un po’ in tutte le grandi città degli Stati Uniti, St. Louis compresa, anche se quella più importante, forse la più numerosa, fu quella che si stanziò a New York in Mulberry Street-Manhattan.

Qual’era l’atteggiamento del nostro emigrante negli Stati Uniti di fronte all’ostilità e all’isolamento in cui era tenuto? Egli era inevitabilmente portato a fare gruppo a sé, ad autoghettizzarsi, a riprodurre nel nuovo ambiente quello del proprio paese, l’ambiente italiano che si era lasciato alle spalle. Da qui quelle situazioni, peraltro sempre severamente censurate dall’opinione pubblica americana, che sapevano appunto molto di paesanità, come per esempio le tradizioni religiose, spesso molto barocche, che si manifestavano nei quartieri italiani e che erano fatte di una religiosità tutta esteriore; oppure le processioni; e via dicendo. In sostanza l’emigrato italiano sentiva il bisogno, per difendersi, di ricreare un certo tipo di tessuto associativo, come le società di mutuo soccorso, che ne costituivano un po’ il cemento, il tessuto connettivo, e che animavano e tenevano unite le nostre comunità. Anche i nostri emigrati cuggionesi, stanziatisi alla Collina, la Hill, di St. Louis sentirono il bisogno di creare una società di mutuo soccorso e voglio ricordare, a tal proposito, un documento del 1897 col quale ne diedero comunicazione al sindaco di Cuggiono Bossi. Presidente era un certo Luigi Caloia, che dice: ”La informo signor sindaco che il 1° maggio dell’anno scorso – la data non è casuale - abbiamo anche noi qui fondato, grazie al contributo di 108 cuggionesi, la società di mutuo soccorso nordamericana ecc. ecc” e parla di affratellamento, di società consorelle e così via.

Quello che avviene a St. Louis è l’esempio della situazione generale che si venne a creare un po’ in tutte le grandi città americane, situazione determinata dal bisogno di ricreare, di riprodurre un contesto che fosse in qualche modo familiare, protettivo. Va sottolineato, a non troppo onore della società di mutuo soccorso dei cuggionesi, che, nello statuto, essa prevedeva l’iscrizione soltanto degli italiani residenti da Roma in su, mentre escludeva categoricamente i meridionali. A St. Louis, nel quartiere della Hill, ci fu l’insediamento dei cuggionesi, degli inverunesi, e così via ma, successivamente, cominciò ad affacciarsi anche un’altra immigrazione, siciliana - catanese per la precisione -, minoritaria rispetto a quella lombarda. Per decenni le due comunità italiane si fecero una guerra terribile, una guerra non violenta intendiamoci, spesso manifestata solo a suon di processioni. Il dissidio campanilistico cominciò a ricomporsi con l’arrivo alla Collina di un missionario scalabriniano, un certo Cesare Spigardi, un prete mantovano, che cominciò ad organizzare le due comunità italiane: venne eretta la prima chiesa, venne organizzata la consueta cooperativa, ecc. ecc. e, da aggregato informe quale era, la comunità italiana cominciò ad acquisire una sua fisionomia organizzata, rappresentata dalla società di mutuo soccorso e dalla chiesa e che avrà in Gianluigi Guardoni colui che comincerà ad organizzare politicamente i nostri emigranti.

In ogni caso il senso di isolamento, di spaesamento, di smarrimento, di solitudine rappresenteranno lo stato d’animo e la condizione della maggior parte dei nostri emigranti. E qui darei lettura di una lettera, che mi sembra molto bella anche se straziante, che dà il senso della condizione di solitudine in cui vivevano i nostri emigranti. A proposito di queste lettere, c’è da fare una considerazione: i nostri emigranti non erano adusi alla lettura e scrivere una lettera era un fatto importante,  quindi il registro delle loro lettere era sempre un po’ solenne, irrigidito in una certa convenzionalità; in certi momenti però emergevano sprazzi di immediatezza, di spontaneità e allora si parlava dei propri affari domestici, familiari oppure, come nel caso della lettera seguente, si comunicavano notizie tragiche.

 

St. Louis, 31 ottobre 1927

A Monno Antonio e a Garavaglia Clementina

Mesero – Milano – Italia

“Carissimo padre e madreda "Partono i bastimenti" di Paolo Cresci e Luciano Guidobaldi, Mondadori, 1980

Vengo con queste mie poche righe onde per farvi sapere le mie notizie. Vi faccio sapere che in questi giorni sono proprio tribulata e piena di dispiaceri; vi faccio sapere, caro padre e cara madre, che il giorno 26 settembre ho avuto una bellissima bambina, Mario era matto dalla contentezza e ora, caro padre Antonio e cara madre Teresa, non la vede più. Vi dico che il giorno 18 ottobre è morto mio marito Mario, cioè vostro figlio; dunque pensate cari genitori che dispiacere provai in quei giorni. Ora miei cari sono rimasta da sola con 5 figli, pensate voi come devo fare io e come sono tribulata, non credevo mai più che Mario doveva morire così…”

 

 

 

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