|
Capitolo
6
Dove
andavano i nostri emigrati quando, bene o male, trovavano un tetto, una
sistemazione? Come dicevamo prima, nessuno di loro andava a fare il contadino,
anche se ci fu qualche esperienza di colonizzazione agricola, come ad esempio a
Tontitown o a Vineland nel New Jersey e in altri luoghi. Si è però trattato di
eccezioni che hanno confermato la regola, e la regola era che i nostri emigranti
contadini, arrivati in America, si proponessero come manovalanza generica,
dequalificata, disponibile per i mille mestieri. Molti di loro si inurbarono
nelle grandi città, a New York soprattutto, altri a Chicago, a Detroit, a
Baltimora, a St. Louis i nostri compaesani, adattandosi a fare i lavori più
umili: a costruire, per esempio, la metropolitana di New York; a pavimentare le
strade; a costruire le fognature; se erano ragazzi, a fare i lustrascarpe, gli
strilloni di giornali;
se erano donne, ad andare a lavorare nelle fabbriche tessili, oppure a fare il
lavoro a domicilio; e così via. Sono centinaia di migliaia i nostri
connazionali lavoratori che accettarono questi lavori umili, dequalificati, che
nessuno più voleva fare; lo facevano prima gli irlandesi, ma gli irlandesi,
tutto sommato, si erano inseriti; toccava a noi. Se non si inurbavano nelle
grandi città, gli emigrati, attraverso i boss, venivano mandati sostanzialmente
in due luoghi di lavoro: a costruir le ferrovie - alla “tracca”, come si
diceva -, cioè a fare i manovali nelle costruzioni ferroviarie, oppure in
miniera. Un manovale italiano immigrato, per dare un’idea di quanto
guadagnasse, nelle ferrovie otteneva, all’inizio del Novecento, da 1 dollaro a
1,20 dollari al giorno. Allora un dollaro equivaleva a 5 lire e 25 centesimi e
un operaio italiano, lavorando in patria, al massimo riusciva a guadagnare 2
lire al giorno.
Il salario americano era quindi percepito dal nostro emigrante
come un buon salario, di gran lunga superiore a quello guadagnato in patria.
I
nostri emigrati che lavoravano in miniera guadagnavano ancora di più.
Le
testimonianze del tempo dicono che si poteva, in via eccezionale, arrivare
addirittura a 5 dollari al giorno e, comunque, si guadagnavano mediamente 2,5/3
dollari al giorno, una cifra notevolissima. C’è però da dire che il lavoro
dei nostri connazionali, soprattutto quello in miniera, era un lavoro
pericolosissimo e le miniere americane erano le più pericolose del mondo perchè
non c’era sicurezza. Le statistiche ufficiali ci dicono che, nel decennio
1900-1910, nelle miniere americane di ferro o di carbone - le miniere di ferro
della zona dei grandi laghi o quelle di carbone di Thurber nel Texas o di altri
luoghi - morirono 30.000 minatori, tra i quali agli italiani spetta il primato
negativo, e un numero imprecisato, tantissimi, rimasero mutilati. In miniera ci
si ammalava anche di tubercolosi: ogni anno rientravano in patria qualcosa come
1.000 nostri connazionali minatori che avevano contratto la tubercolosi.
Forse
il quadro che vi sto dando può sembrare troppo catastrofico, troppo negativo,
eppure è così, le cifre che vi ho esposto sono le cifre ufficiali delle nostre
autorità consolari, non vi sto raccontando opinioni mie, ma fatti che sono
spesso al di sotto della realtà.
Per
tornare al pericolosissimo lavoro nelle miniere, quando succedeva un infortunio,
mortale o meno, le compagnie minerarie non risarcivano un bel niente. Perchè?
Per due motivi. Si diceva: voi lavorate a cottimo (perché i nostri minatori
lavoravano quasi sempre a cottimo) e quindi siete dei lavoratori autonomi –
come potremmo definirli con un termine moderno -, sta a voi organizzare la
vostra sicurezza e se vi fate male peggio per voi. Questo il primo motivo.
Secondo motivo, i nostri minatori non erano, nella maggioranza dei casi,
cittadini americani e questa era una ragione sufficiente per non risarcire
niente. I nostri minatori, quindi, si ammalavano e morivano e di queste
tragedie, di cui la stampa italiana rarissimamente dava notizia, ce ne furono
tantissime.
Iron
Mountain, Michigan, 3 agosto 1901
“Al sindaco di Turbigo
Il sottoscritto reverendo Beniamino Berto, parroco della chiesa italiana
di Iron Mountain, afferma che Francesco Garavaglia, nato a Turbigo in provincia
di Milano, morì per infortunio avvenuto nella miniera di ferro di Iron Mountain
in Michigan, Stati Uniti d’America, e furongli fatte le cerimonie religiose
nella chiesa francese il giorno 31 ottobre 1894, essendo rimasto insepolto per 6
giorni dalla morte avvenuta il 25 ottobre 1894.
In fede
Beniamino Berto, parroco”
Regio
Consolato Generale Italiano, 10 febbraio 1923
Oggetto:
disastro minerario di Dawson New Messico
“Al sindaco di Turbigo
Egregio signor sindaco
È per debito d’ufficio che adempio il doloroso compito di render noto
alla signoria vostra illustrissima che nel disastro minerario di Dawson, New
Messico, avvenuto il giorno 8 corrente, in una miniera di proprietà della F…
Dawson Corporation perirono 120 minatori, 21 de quali erano nostri connazionali.
Nell’elenco delle vittime figurano i nomi dei fratelli Antonio e Alessandro
Zanoni appartenenti a codesto comune ove, a quanto mi si afferma, risiederebbero
i loro congiunti. Qualora costoro desiderano che questo regio ufficio s’occupi
del ritiro delle rispettive attività successorie sarà necessario che mi
inviino analoga procura, unisco il modulo in inglese, la quale dovrà essere
firmata o croce segnata da loro e poscia autenticata da vostra signoria.
Circa l’indennità spettante al coniuge e ai figli minorenni, ed in
loro mancanza ai genitori, devo far sapere che secondo le regole e le leggi del
New Mexico essa viene accordata alle famiglie residenti all’estero solo nel
caso che si possa fornire la prova che il sinistro avvenne per colpa o per
negligenza della compagnia datrice di lavoro.
Il Regio console generale”
Chicago,
28 dicembre 1912
Il
regio consolato d’Italia al sindaco di Cuggiono
“Signor sindaco,
Per opportuna partecipazione agli interessati costì residenti, mi
pregio comunicare alla signoria vostra illustrissima il decesso del connazionale
Puricelli Luigi, morto in seguito ad infortunio sul lavoro in Joliet. Qualora
gli eredi non avessero persona di loro fiducia da incaricare per la liquidazione
della successione, questo ufficio indica l’avvocato Charles Hyde, direttore
dell’ufficio legale, ed unisce una procura in inglese con relativa traduzione.
Detta procura andrà quindi legalizzata dal console degli Stati Uniti competente
e ritornata a questo consolato con cortese sollecitudine e unitamente alla
situazione di famiglia del defunto.
Con distintissima considerazione
Il Regio console”
C’era
anche chi, misteriosamente, “scompariva”. Scompariva magari deliberatamente
o per accidenti fortuiti, misteriosi, di cui non è data conoscenza. Ai
nostri emigranti, quando arrivavano ad Ellis Island, capitava spesso che, per
difficoltà comunicative con la lingua, chi era preposto a registrarne i nomi,
li storpiasse, facendoli diventare persone diverse; c’era chi invece,
deliberatamente, intendeva “scomparire” e americanizzava subito il suo nome.
Furono parecchi coloro che, una volta arrivati in America, fecero perdere le
proprie tracce, deliberatamente o meno.
Cuggiono
26 gennaio 1915
Il
sindaco di Cuggiono al Regio console d’Italia di San Francisco, California
“Negli ultimi mesi del decorso 1914 trovavasi a Oakland in California
il giovane Manera Alessandro di anni 24, reduce per malattia dall’Alaska, dove
trovavasi per ragioni di lavoro. Da molti mesi non si è fatto più vivo e
l’ultime sue notizie pervennero da Oakland, dove diceva di trovarsi e versare
in misere condizioni di salute ed economiche e dove la di lui madre, fino dal 22
dicembre 1914, gli aveva inviato una raccomandata con denaro. La raccomandata
venne restituita al mittente per irreperibilità del destinatario ad Oakland,
come si legge sulla busta di detta raccomandata. Così posto la signora Manera,
per mio tramite, pagherebbe la pregiata Signoria vostra a voler assumere le
informazioni del di le figlio premurosamente. Naturalmente si obbliga a
rifondere le necessarie spese di rintraccio e di corrispondenza.
Ringraziandola anticipatamente, con osservanza
Il sindaco di Cuggiono”
San
Francisco 1° aprile 1915
Regio
consolato generale d’Italia
“Illustrissimo signor sindaco di Cuggiono
In risposta alla nota del 26 gennaio mi pregio informarla che, malgrado
le più diligenti indagini eseguite, non fu possibile rintracciare il nominato
Manera Alessandro. Feci anche pubblicare il di lui nome sui giornali italiani
locali nella lista dei ricercati da questo regio ufficio ma con risultato
negativo.
Con distinta considerazione
Il regio console”
===>
vai al capitolo 7
|