Gli italiani che emigrarono in Argentina portarono, forse, poche masserizie ma avevano con sé una cultura, una tradizione, e soprattutto una lingua che nella maggior parte dei casi corrispondeva al colorito ed espressivo dialetto del paese natìo.
Considerato che l'emigrazione verso l'Argentina si sviluppò a ridosso dell'unificazione d'Italia del 1861, si può affermare che una certa unità si formò prima sulle navi dirette in Argentina, che
costituivano dei veri e propri villaggi viaggianti dove la lingua comune era il poco italiano conosciuto e la miscela dei vari dialetti.
Di questo fenomeno si accorse, pure, lo scrittore Edmondo De Amicis durante il suo viaggio verso il Sudamerica a bordo del Galileo che descrisse prima nel volume “Oceano” del 1889 e poi nel più noto”Cuore”:
In particolare, De Amicis si rese conto della contaminazione avvenuta nella lingua di chi era già stato in Argentina. Ecco una sua descrizione riferita al modo di parlare di uno di questi :
“Ma bisognava sentire che vocabolario : era il primo saggio della strana lingua parlata dalla nostra gente del popolo dopo molti anni di soggiorno nell'Argentina, dove, col mescolarsi ai figli del paese, e a concittadini di varie parti d'Italia, quasi tutti perdono una parte del proprio dialetto e acquistano un po' di italiano, per confondere poi italiano e dialetto con la lingua locale, mettendo desinenze vernacole a radicali spagnuole, e viceversa, traducendo letteralmente frasi proprie dei due linguaggi, le quali nella traduzione mutan significato o non ne serban più alcuno, e saltando quattro volte,nel corso d'un periodo, da una lingua all'altra,come deliranti. Trasecolando, gli udii dire “si precisa molta plata per “ci vuol molto denaro”, “guastar capitali” per “spender capitali”, “son salito con un carigo di trigo” per “son partito con un carico di grano”.
Edmondo de Amicis si era imbattuto senza rendersene conto con il gergo tipo pidgin che parlavano gli emigranti italiani della prima generazione che, almeno nel periodo tra il 1880 e 1930, costituivano un buon 40% della popolazione del Gran Buenos Aires, e conosciuto come Cocoliche.
Il Cocoliche fu introdotto nel teatro popolare rioplatense oltre che nel sainete (breve componimento drammatico spagnolo, spesso giocoso, in un solo atto, solitamente accompagnato da musica strumentale in funzione contrappuntistica e da danze) e nel circo creolo fondato dai fratelli Podestà.
Secondo Podestà l'origine di Cocoliche risale all'immigrato Francesco Cuculicchio, caricaturato dal gruppo di Celestino Petray che imitava con facilità il linguaggio creolo degli italiani.
Esempio :
Petray : Ma quiame Cocoliche e songo cregollo hasta lo gùese de la taba e la canilla de lo caracuse (Cocoliche)
Petray : Me llamo Cocoliche y soy criollo hasta los huesos de la taba hasta la canilla del caracù (Castigliano)
Petray : Mi chiamo Cocoliche e sono creolo fino al midollo delle ossa dalla caviglia alla tibia (Italiano).
Un'altra fonte fa risalire il Cocoliche alla intonazione italiana delle dei vocaboli, alla mutazione del fonema “g” in “k” e alla pronuncia della “c” castigliana prima della “e” o della “i” come “ch” (es. dice/diche).
Da qui : q(uè) co(sa) (è) lo (que) dic(h)e?, che nel tempo potrebbe essersi trasformato in Cocoliche.
Il Cocoliche fu pure inserito da Josè Hernàndez nel poema nazionale argentino El Gaucho Martin Fierro quando, descrive ad esempio, l'incontro con un italiano napoletano volontario nella guerra tra gli argentini al comando del generale Julio Roca contro gli indigeni Ranqueles(1869-1878 ).
Era un gringo tan bozal/Que nadie se le entendìa/quìen sabe de ànde serìa!/Tal vez no juera cristiano/Puès lo unico que decìa/Es que era pa-po-litano.
Era uno straniero che parlava tanto male/che nessuno lo capiva/chissà da dove veniva!/Forse non era nemmeno crtistiano/Perchè l'unica cosa che diceva/ Era di essere napoletano.
In questo passaggio, non esattamente gentile nei confronti dello straniero, pa-po-litano è uno dei diversi esempi di Cocoliche che appaiono nel poema.
Scomparsi gli emigrati della prima generazione, anche il Cocoliche cadde in disuso, ma molte parole fanno tuttora parte del linguaggio quotidiano del rioplatense e del lunfardo :
Esempi :
chantapuffi, dal genovese, persona poco affidabile
minga, dal milanese, niente.
pibe – ragazzo ma anche variazione al vesre di tipo lunfardico di Bepi (ragazzo)
urso, da orso, persona corpulenta
mina, da fimmina, donna
chau, da ciao, usata solamente al momento del commiato
fangote, grande quantità
bagayo, da bagaggio ovvero valigia, persona cattiva.
Il lunfardo è invece un gergo che ha avuto origine a Buenos Aires, la capitale della repubblica argentina, che si è esteso poco a poco verso le città vicine con una situazione socioculturale simile dovuta alla grande immigrazione, quasi tutta europea, delle città di Rosario nella provincia di Santa Fè ma anche di Montevideo, nel vicino stato dell'Uruguay.
Il quotidiano La Prensa dà notizia del Lunfardo nel 1878 definendolo un modo di comunicare dei malavitosi, mentre nel 1879 il quotidiano La Naciòn pubblicò l'articolo che esemplificò per primo il lunfardo.
Estando en el bolìn polizando/se presentò el mayorengo/a portarlo en cana vengo/su mina lo ha delatado.(Lunfardo)
Mentre dormiva nel suo appartamento/ si presentò l'ufficiale di polizia/ vengo a portarla in galera/ la sua donna ha fatto la spia. (Italiano)
Il lunfardo si trasmise ben presto alle classi meno abbienti, per poi estendersi lentamente a tutte le classi sociali, grazie alla sua presenza nel lessico legato al tango e a un certo tipo di poesia in versi, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Lunfardo pare derivi da lombardo - lumbardo un vocabolo usato per indicare i banchieri lombardi, quindi ladroni, e portato in Argentina dalla malavita marsigliese. Il lunfardo spuntò a Buenos Aires verso la metà del 1800 e presenta un lessico composto da vocaboli di origine varia, gaucha, quechua, indigena e soprattutto italiana, e anche dal Cocoliche medesimo.
Tipico del Lunfardo è il vesre, la modalità che permette la coniazione di nuove parole alterando l'ordine delle sillabe. Ad esempio :
Mionca per camion, gotàn pert tango, lompa per pantalòn (italiano) oppure verlan per l'envers (francese) o jailài per high life (inglese) oppure ancora una feca con chele, ovvero cafè con leche, caffè con latte.
Sono tuttora usati vocaboli di origine Bantù come quilombo, mondongo e candombe che significano rispettivamente caos, trippa e un ballo afro argentino.
Il Lunfardo non è una lingua vera e propria perchè pur possedendo tre parti importanti, sostantivi, aggettivi e verbi, manca di articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni per cui si possono fare affermazioni ma non frasi compiute.
Ad esempio : “Hombre Bacàn” è una affermazione ma “Hombre bacàn que te acamala” è una frase compiuta che non si può esprimere in Lunfardo. Il castillano aggiunge il que relativo e il complemento me.
Hombre Bacàn - Il riccone
Hombre Bacàn que te acamala – Il riccone che ti mantiene.
Si trovano pure mutazioni di parole per apocope (caduta di uno o più suoni a fine parola) o ibridazione( combinazione di parole).
Ad esempio :
Colifa da colifato che significa luogo
Camanbuses con il significato di scarpe composto da caminante e autobuses (Viandante e autobus).
Un quarto del lessico lunfardo consitente di almeno 6.000 parole, deriva dal lombardo e dal genovese, un 10% da altri dialetti italiani o dalla lingua italiana medesima mentre il restante è diviso tra parole di origine straniera e parole nuove di zecca.
Ecco alcuni esempi :
Bacàn, riccone, dal genovese bacàan zio, padrone.
Panetòn, panettone , sedere dal lombardo panettone
Acamalar, portare un carico in spalla, dal genovese camallo, scaricatori di porto
Cana,carcere, dal francese canne bastone della polizia
Tamango – scarpa, dal portoghese tamanco scarpa
Sharap, stai zitto, dall'inglese shut-up stai zitto
Bichicome, vagabondo, dall'inglese beech-comber vagabondi che traggono sostentamento setacciando la spiaggia.
A la violeta significa disoccupato
A la Romana significa dividere in parti uguali
Zapa, improvvisazione nel tango da zappa.
Oggi molti termini del Lunfardo sono stati incorporati nel linguaggio quotidiano di quasi tutta l'Argentina e Uruguay mentre altri sono caduti in disuso o hanno subito una mutazione semantica.
Ad esempoio la parola “leones” per indicare i pantaloni si è mutata in “Leoncios” e finalmente in Liensos.
L'Accademia del Lunfardo di Buenos Aires continua a studiare questo fenomeno celebrando pure El Dia del Lunfardo ogni 5 settembre.
Per noi italiani è la testimonianza di un passaggio nel tempo dell'emigrazione e della sua traccia nella vita quotidiana di un Paese troppo lontano da noi.
Bibliografia :Edmondo de Amicis, Oceano, Garzanti, 1939
Josè Hernàndez, El Gaucho Martìn Fierro, Industria Argentina Buenos Aires, 1960
Sabatino Alfonso Annechiarico, Cocoliche e Lunfardo, Mimesis Edizioni Milano, 2012
Ernesto R Milani
4 maggio 2014
ernesto.milani at gmail.com
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