Omaggio a Roberto Borsa (1880-1965)

Cuggiono e il suo territorio nei dipinti di un neo impressionista lombardo

Esposizione di opere presso lo spazio polifunzionale "Le radici e le ali" , S. Maria in Braida - Cuggiono

22 Dicembre 2007 - 3 Febbraio 2008

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Al Bugnét da Bernà  

 

Olio su tavola, 50 × 70 cm

Firmato in basso a destra, non datato

Collezione privata

 

Nella prestigiosa sede milanese di Piazza Belgioioso, nel settembre 2004 sono andati dispersi gli arredi e i beni d’arte della storica «Società Artisti e Patriottica», l’antico circolo culturale che vantava la sua origine in una istituzione fondata da Maria Teresa d’Austria nel 1776. Sfogliando il catalogo d’asta diffuso all’occasione, con dipinti e sculture destinate all’incanto, ho riconosciuto in un olio su tavola, erroneamente presentato come veduta del «Lambro», il rione Bugnét di Bernate Ticino, raffigurato in modo preciso e inequivocabile nei colori di una bella tavolozza chiarista. Il dipinto era firmato da Roberto Borsa (1880-1965), artista che gode di una certa notorietà in ambito milanese, cui non doveva essere estranea la frequentazione delle località dislocate lungo le rive del Naviglio Grande: un suo dipinto dal titolo «Lo storico ponte di Boffalora» è custodito nella Galleria d’Arte Moderna di Milano.

Il quadro in questione ritrae il gruppo di case rurali situato sulla sinistra del Naviglio, a valle del ponte che collega i due nuclei del paese dominato dal complesso canonicale di San Giorgio, dove lo scrivente ha trascorso il suo primo trentennio. La datazione dell’opera risale verosimilmente agli anni Quaranta del secolo scorso e restituisce, almeno in parte, l’aspetto del vecchio abitato del paese, consistente di corti coloniche, con case aggregate secondo il modulo della tipica cascina lombarda. Le costruzioni rustiche avevano i tetti in coppi, a semplici falde che andavano a coprire l’abitazione a due piani con scala esterna e ringhiera; addossati o separati dal cortile, i cascinali e le stalle in cui la famiglia trascorreva le ore più fredde dell’inverno. Le condizioni igieniche erano notoriamente precarie e a dispetto di ogni regolamento, fino al secondo dopoguerra, ogni contadino tesaurizzava il letame accumulandolo ai bordi della strada o al fianco delle abitazioni, molte delle quali ridotte a malsani tuguri. Med da rüch a ridosso della pubblica via sono visibili anche nel dipinto.

Il rione Bugnét, ritratto dal Borsa durante una luminosa giornata di sole in periodo di sùcia del canale (marzo o settembre), prendeva inizio con l’Osteria dell’Isola, frequentatissimo luogo di ritrovo nei giorni di festa. All’occasione la cucina dispensava grati afrori di pesce fritto e di stufati, mentre dal tavolo di sasso, sotto il pergolato di glicine, provenivano vivaci le grida dei giocatori di carte e di morra. Nel giorno della sagra del paese (Nosta festa) l’aia del cortile si trasformava in balera e ospitava molte coppie che ballavano al suono di un’orchestrina − protagonista la fisarmonica e la tromba di Mario Cavajani − mentre la Olga, serviva uno squisito gelato a base di latte e uova, preparato nei giorni precedenti con una monumentale pinagia.

Sulla via in breve discesa, si susseguivano le case i cui proprietari avevano un soprannome, dal significato per me in gran parte oscuro. Filisìn d’al ciurla (Felice Garavaglia), al suo ritorno dall’America, si era costruito una abitazione con stalla e portich, parzialmente visibile al margine sinistro del quadro. Il primo edificio raffigurato per intero apparteneva a Pin liòn (Giuseppe Tizzoni), ma in effetti era stata fabbricato da Ernesto Ottolini, chiamato Menevado, con i sudati guadagni d’emigrante al suo rientro dagli Stati Uniti. I soldi non gli erano bastati per ultimare i pagamenti, tanto che il poveretto aveva presto dovuto cedere la casa e ritirarsi a vivere nella stalla con la moglie Niculina e un buon numero di marmocchi. Maggior fortuna ebbe un altro emigrante, Pompeo Ottolini, detto Principìn: i risparmi gli permisero di edificare una casa alta, certo una delle più belle del paese, con decori floreali su un fondo rosso pompeiano ancor oggi mantenuto. Al suo fianco si apriva la corte dei Bulìtt (Bollini), dove abitava Martino Agosti detto Martìn d’l Luca. Addossata stava la corte dei Laùst (Agosti), seguita da quella ben più vasta dei Cugliàtt (Cogliati), caratterizzata, sul fronte a ridosso della strada, da una grande apertura ad arco che consentiva l’ingresso agli alti carri di fieno. Lungo la via, le stalle presentavano piccole aperture per consentire lo sfiato ai bovini rinchiusi: ricordo che le povere bestie sporgevano ansimanti le narici, emettendo un continuo e penoso muggito.

Nel mezzo della successiva corte dei Bugnìtt (Bognetti), un annoso gelso offriva la sua ombra alle donne che si raccoglievano in gruppo nei pomeriggi estivi. Vigilavano, sui lati dell’ingresso, le abitazioni della Rumilda, moglie di Paolo Bognetti e della Beciuraia, una figura felliniana, una donna immensa sorretta a stento da gambe grosse come colonne egizie. Il misterioso soprannome, declinato al femminile, le derivava dall’intercalare del marito con una frase appresa durante il soggiorno in America. Raccontando ai compagni d’osteria le sue mirabolanti avventure d’oltreoceano, rassicurava l’incredulo interlocutore reiterando: You can bet your life! (puoi scommettere la tua vita!) che al bernatese, ignaro della lingua inglese, suonava come beciurai!

Seguivano la corte di Lésich, che riuniva le famiglie Ranzini, e di fronte, aperte direttamente sul Naviglio, quelle del Gèp Valìs (originario dalla cascina Valigio) e del Pulotta, nomignolo affidato a Paolo Cavajani, proprietario di una cava di sabbia attiva nelle vicinanze.

Accanto al piccolo orto, a Borsa non è sfuggita la piccola costruzione cubica del forno sociale, oggi scomparso, tante volte da me frequentato al seguito della carriola di nonna Angela (Giulina Bagòt), imbonito a non allontanarsi dalla marna colma di grosse pagnotte di segale e frumento, con la promessa di una brusavéla, una gustosa focaccia farcita di fichi e uva passa. Il forno era stato costruito con quote versate da tutti gli abitanti del rione, compresi quelli dell’adiacente Belelvolt (Cascina Abele), ma quando fu dismesso, burocrazia volle che finisse al solo proprietario del fondo.

Nelle vicinanze del forno, sullo spiazzo sterrato e fangoso, usato in autunno come aia per seccare le granaglie stese su cerate, un incredibile numero di oche si godeva l’acqua di rigagnoli e pozzanghere. I pennuti costituivano una preziosa risorsa per la loro piuma e ogni famiglia aveva il suo piccolo branco, tanto che il villaggio si era guadagnato il toponimo di paés di och: il pittore, forse non del tutto inconsapevolmente, non ha tralasciato di raffigurare i bianchi volatili nelle acque basse del canale. Un lungo tratto della sponda accanto al forno fungeva da lavatoio: donne di ogni età lo frequentavano in ogni stagione, inginocchiate sull’assìn, duramente provate dalla fatica di insaponare e risciacquare i panni nelle acque del Naviglio.

Sulla riva opposta, l’alzaia era abitualmente percorsa da carri agricoli e da cavalli (poi da trattori) al traino dei barconi che facevano la spola tra le cave di sabbia di Castelletto di Cuggiono e la darsena di Porta Ticinese: oltre l’ansa del canale, un’ampia risorgiva (Lancòn) alimentava una limpidissima rungia, testimone dei miei maldestri tentativi di catturare con una forchetta, sotto la guida delle zio Genio, rane, bòtar e gamberi di fiume.

 

Ora il quadro si è guadagnato uno spazio su una parete di casa, a richiamare la memoria dell’infanzia, distese di campi e di verdi marcite, giochi all’aperto di un bambino istruito alla vita dal nonno Gin, classe 1897, emigrato in America a sedici anni compiuti in viaggio sulla nave… un mai dimenticato Geppetto che costruiva per me giocattoli di legno tinti d’anilina…

 

Sergio Baroli

Bernate Ticino, Dicembre 2007

 

 

 

Altre opere dell'autore non esposte:

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La Cirenaica, 145x116 cm

La passeggiata, 44x74 cm

70x80 cm