Il pittore Roberto Borsa nei ricordi della figlia Giuliana.

       

Da  "La Città possibile" , nuova serie, Dicembre 2007

La storia di mio papà Roberto e del suo amore per mamma e per Cuggiono ebbe inizio nel 1918. Avendo sua sorella Anna, sposato il figlio medico del farmacista Bai di Cuggiono, gli fu chiesto di dare lezioni di acquarello ad una certa signorina Clerico: fu l’inizio della sua passione per la bella e giovanissima signorina, che dopo poco chiese in moglie, e della sua passione per Cuggiono, per la vallata del Ticino e per il Naviglio che ebbe a ritrarre in molti quadri durante le vacanze autunnali passate presso i suoceri e negli anni dello sfollamento dal 1942 al 1946. Il suo animo d’artista lombardo amò la dolcezza delle limpide giornate di primavera sul Naviglio, i filari di gelsi della campagna in pieno sole d’agosto, la tenera malinconia delle giornate autunnali al Ticino e le case innevate nei crudi inverni durante la guerra. Negli anni trenta dipinse più volte il bellissimo giardino di proprietà dei miei nonni Clerico: alcuni quadri ritraggono la mamma, altri la sorella Piera, altri ritraggono, come si può ammirare alla mostra “OMAGGIO A ROBERTO BORSA”, alcuni componenti della nostra famiglia durante uno dei tanti pranzi allestiti all’aperto in cui la nonna, bravissima cuoca, conquistava le grazie del genero, vero buongustaio, altri infine ritraggono la cascina Gambarotta adiacente il giardino, nei mutamenti delle stagioni. Il giardino, sito quasi in fondo a via S.Rocco, fu poi venduto, per un dissesto finanziario che colpì il nonno nel 1932, all’Onorevole Gambarotta, successivamente in parte fu costruito e, per fortuna, in parte reso giardino pubblico negli anni 80. Nell’inverno del 1943 dopo un terribile bombardamento su Milano fummo costretti, come gran parte dei milanesi, a sfollare ed essendo la nonna, ormai vedova, sola nel grande appartamento in casa Clerici di Via S. Rocco, la nostra meta fu Cuggiono. Abbandonammo con grande tristezza la nostra casa a Porta Vittoria e in modo particolare fu grande il dolore di papà nel lasciare il suo bellissimo studio fatto costruire appositamente da suo padre, quando si convinse che il figlio maggiore non avrebbe mai seguito la strada di ragioniere, come lui, ma avrebbe fatto l’artista. Papà mi raccontava della discussione avuta col padre rispetto la sua scelta di frequentare l’Accademia di Brera, di cui divenne successivamente Socio Onorario, dove fu allievo del Tallone e del Mentessi; il padre gli avrebbe permesso la frequentazione dell’accademia solo se al termine del primo anno scolastico avesse conquistato un primo premio. E papà, che era furbetto, riuscì ad ottenere l’ambito riconoscimento in “ornato”, una delle materie più facili dell’accademia. Convinto così della determinazione del figlio, il nonno fece costruire un sopralzo sulla casa di Via Fontana. Ricordo si accedeva allo studio dopo aver salito il grande scalone seicentesco grazie ad una ripida scaletta: si aprivano alla vista due grandi locali con enormi vetrate da cui lo sguardo spaziava sui tetti di Milano e un salottino. Quante volte ho salito trepidante la scaletta per andare a posare per papà. Era per me un grande onore mettermi in posa e non sentivo affatto la stanchezza di stare ferma, benché fossi molto vivace, pur di essere ritratta da lui. Adoravo l’odore aspro della trementina, l’enorme divano, i cassettoni antichi, la pelle di tigre stesa sul pavimento, adoravo osservare papà mentre concentrato e serio, lui solitamente sorridente, , mescolava i colori sulla tavolozza e distendeva larghe pennellate sulla tela. Venivo premiata per la posa avendo il permesso di prendere una manciata di mandorle pralinate! Come successivamente dicevamo scherzando, “Mi vendette più volte”, infatti dei numerosi ritratti eseguiti ne sono rimasti a noi solo due. Ma torniamo a Cuggiono. Durante la permanenza in paese papà affittò due locali presso la Signorina Isa Clerico, cugina di mio nonno, in via Vittorio Emanuele, e vi fece il suo studio, dove iniziò a insegnarmi le basi del ritratto e a disegnare figure a carboncino, naturalmente dal vero. “La malattia di famiglia” aveva contagiato sia me che Gianfranco, mio fratello, eravamo infatti entrambi portati per l’arte: mentre Gianfranco, che ebbe a Cuggiono negli anni ottanta un pied-a-terre, si dedicò con successo alla pittura, dopo la morte di papà, come astrattista, io, avendo studiato con lui e poi a Milano dal Prof. Colombo con buoni risultati specialmente come ritrattista, fui costretta a mettere in disparte l’arte, per ragioni varie, e dedicarmi all’illustrazione e alla mia famiglia. Durante gli anni di guerra mi rammento ancora le spedizioni per andare a dipingere: io con una piccola ma preziosa cassetta di colori e con l’album di disegno e papà con una grande tela, la sua cassetta a tracolla e il seggiolino pieghevole. Partivamo in bicicletta ben carichi sia nelle belle giornate di primavera e d’estate che in autunno. D’inverno ci limitavamo ai dintorni di Cuggiono e con gli scarponi immersi nella neve e un freddo che ci congelava le mani, lui dipingeva ed io disegnavo felice al suo fianco. Quante vedute del ponte di Castelletto, di Scansceau, del Naviglio con la scolta, di Bernate e Boffalora. Ma le nostre spedizioni non erano solo per dipingere, alcune volte mamma ci pregava di procurare qualcosa da mangiare: passavamo allora presso i contadini lungo la strada elemosinando un uovo, un pezzetto di burro, qualche frutto o ortaggio. Ricordo con piacere una simpaticissima contadina, “la Siadina”, che aveva passato la giovinezza in America e “la Virginia” che abitava lungo la strada per Castano ed in America era stata proprietaria di un saloon, entrambe ci rifornivano con piacere di latte, uova e verdura. Imparavamo da loro a cercare nei campi la “verzuela” e il “populit” due erbette che consentivano di preparare delle buone frittate per quattro con solo un uovo! Conservo di mio padre un bellissimo ricordo: era una persona molto affettuosa, socievole, sempre pronta alla battuta, divertente, amante della vita in tutti i suoi aspetti, con un’anima di vero artista. Gli sono infinitamente riconoscente per tutto ciò che mi ha donato: l’amore per tutte le bellezze della natura, la gioia di ammirare un’opera d’arte, un tramonto, un bel viso, un mazzolino di fiori, e la capacità di ’emozionarmi ancora oggi quando varco la soglia di una raccolta di opere d’arte.

Giuliana Borsa